IL SUONO E' UN LUOGO
di Luca Chieregato
Non ho molto da dire. Quando mi immergo in un'esperienza di rilassamento, di abbandono, quando cerco insomma di fare qualcosa che mi permetta di “lasciarmi andare”, qualsiasi cosa significhi, so che devo mettere in conto di combattere una lotta. La lotta intima e invisibile che la mia mente combatte con il mio corpo, il quale si distende a terra e respira e dice per tutto il tempo molla, cedi, lascia, cedi, molla, lascia. E la mente non cede. Pensa alle fatture di agosto, quella stupida insolente. Si mette a fare piani per l'inverno. Ricorda dettagli della sera prima, scontrini al ristorante, affastella immagini e pensieri come se rovistasse in uno sgabuzzino, e la cosa divertente – sarebbe divertente se non stessi lottando – è che più il corpo si lascia andare e più la mente grida, esce allo scoperto, piuttosto che stare zitta canta una canzone. Non dorme mai, come il mare.
Ecco perché non ho molto da dire. Perché sono un pessimo cliente di massaggi e di percorsi di rilassamento; immagino che l'esperto massaggiatore possa pensare oh mamma, quando mi vede distendere sul lettino con la mia fronte corrugata, pronta alla lotta. Lo dico anche con tenerezza: conosco la mia testa, forse, anche se per molte cose mi rimane un mistero; so che può succedermi così, e ciononostante non rinuncio a tentare, mi avventuro, dico sottovoce a me stesso dai che magari questa volta riesci a lasciarti andare. Un pochino. Al massimo canti una canzone.
Detto questo, voglio dire due parole sul viaggio emotivo e immaginifico che sono riuscito a percorrere – dentro la lotta, non lo nego – quando mi sono sdraiato davanti alle campane di Laura. Ho scoperto una cosa, e non la sapevo, e quindi per me il gioco è valso la candela. Ho scoperto che il suono può anche essere un posto dove andare. Le campane di Laura non mi hanno portato in un luogo di calma e di emozione: sono diventate un luogo di calma. Non erano dunque lo strumento, il treno, la carrozza, il cavallo o la bicicletta, l'attrezzo pronto a trasportarmi; erano il luogo da raggiungere, ed erano un luogo fisico, liquido, un posto che non era solo da raggiungere ma che è venuto a prendermi. E mi ha preso, mi ha tenuto, mi ha scosso e dondolato e io, e noi, il mio corpo la mia mente e tutti i personaggi che mi sono venuti a trovare e che hanno combattutto con me… noi ci siamo andati, in quel luogo. Mi sono addormentato, mi sono risvegliato, mi sono alzato e quel luogo di calma suonava ancora dentro di me come la voce di una eco lontana, eppure ancora presente. Non posso dire che quel luogo sia ancora in me. Ma posso dire che so che esiste, e per me – per la lotta che combatto, da quando sono nato – sapere che quel luogo esiste e che in qualche modo posso accedervi, non è poco. Non ho cantato: ero la canzone.